A proposito di Black-Out ovvero Nostalgia di Nucleare

di Tazio Borges

L’Italia è un paese strano. Tutti pretendono di saper fare bene il lavoro degli altri, ma nessuno fa bene il suo lavoro. L’ultimo, in ordine di apparizione, è stato il Sindaco di Milano che, dopo aver chiuso una piscina comunale il giorno dopo l’inaugurazione perché perdeva i pezzi, è apparso al TG3, pontificando sulla avventata scelta di 16 anni fa di abbandonare l’energia nucleare.

Già il nucleare. Ormai non c’è convegno, seminario, intervista pubblica, articolo giornalistico sui problemi energetici del paese in cui non venga evocata la sciagura del referendum che di fatto ha messo in moratoria il nucleare in Italia e che secondo tutti (quelli che pretendono di saper fare il lavoro degli altri) è la causa principale degli attuali black-out.

Fortunatamente la maggior parte degli addetti ai lavori, a cominciare dal ministro Marzano, hanno i piedi per terra e sono consapevoli che attualmente i costi dell’energia nucleare sono salati e che riavviare un programma nucleare in Italia è pure follia, non solo per motivi politici ma soprattutto per motivi economici.

Sempre quelli che pretendono di saper fare il lavoro degli altri, continuano a sbandierare il basso prezzo dell’elettricità francese, senza sapere che c’è differenza tra prezzo e costo. Il prezzo dell’energia nucleare francese infatti non comprende gli accantonamenti per il decommissioning delle centrali, non comprende i costi di smaltimento e di stoccaggio delle scorie radioattive e non comprende i costi per la sicurezza.

Nel Regno Unito ad esempio i costi di costruzione di una centrale nucleare assommano a 1.828 $/kW a cui vanno aggiunti 420 $/kW di interessi passivi durante la costruzione (fonte OCSE-NEA). A titolo di confronto un Ciclo Combinato a gas viaggia ormai intorno ai 500 Euro/kW. I costi di decommissioning del nucleare sono stimati in 360 $/kW, ma vengono accantonati solo 28 $/kW. In Francia, a fronte di costi di costruzione più interessi passivi di 1.264 $/kW vengono accantonati 34 $/kW per il decommissioning, il cui costo è sconosciuto ma che non dovrebbe essere molto distante dai costi inglesi.

Sui costi di back-end dei combustibili c’è il mistero più assoluto. Il back-end comprende i costi legati a: trasporto del combustibile esaurito, stoccaggio, riprocessamento, vetrificazione, smaltimento scorie.

Secondo l’Associazione Italiana Nucleare (www.ain.it) a fronte di un costo totale del combustibile di 0,8 centesimi di Euro per kWh prodotto, il costo di back-end incide del 33,4% in presenza di riprocessamento (pari a poco più di 5 vecchie lire/kWh). Sempre secondo l’AIN il costo di smaltimento delle scorie ammonterebbe solamente all’1% del costo del ciclo del combustibile.

Sarebbe interessante a questo punto capire come mai gli esperti dell’Apat, l’Agenzia Nazionale per la Protezione dell’Ambiente hanno stimato in 2 miliardi di Euro in 20 anni il costo per smaltire la montagna di 58.000 metri cubi di rifiuti radioattivi accumulati dall’Italia nel periodo del nucleare (www.e-gazette.it/pp4.htm). Dal 1963, anno di avvio del primo impianto, fino al 1987, il nucleare italiano ha prodotto 92.617 GWh (www.grtn.it). Facendo un conto "della serva", ossia dividendo i 2 miliardi di Euro necessari allo smaltimento delle scorie per i kWh prodotti, salta fuori un costo di 0,22 centesimi di Euro / kWh (pari a 42 vecchie Lire/kWh). E’ vero che i reattori italiani sono rimasti in funzione solo per poco tempo, (mediamente 10 anni) ma anche ipotizzando la produzione di kWh su una vita media di 40 anni, il costo di smaltimento si attesterebbe intorno alle 10 Lire/kWh, cifra comunque molto lontana dall’1% del costo dell’intero ciclo del combustibile sostenuta dall’AIP, senza contare che in questo caso la quantità si scorie da smaltire sarebbe come minimo quadruplicata.

I rifiuti radioattivi sono comunque ancora custoditi nelle centrali disattivate dopo il referendum, o in apposite piscine per essere raffreddati in continuazione. Il materiale irraggiato è guardato a vista da militari armati che da 16 anni vi fanno la ronda 24 ore su 24 per 365 giorni all’anno, Natale e Pasqua compresi. Ma il costo dei militari e di tutta la logistica necessaria viene calcolato nel prezzo del kWh o viene banalmente scaricato sui costi del Ministero della Difesa e quindi a carico di tutti i contribuenti? Sarebbe interessante sapere ad esempio quanto costa allo stato francese la sorveglianza degli oltre venti siti nucleari che dopo l’11 Settembre è stata quadruplicata e se tale costo viene imputato alla tanto decantata elettricità a basso prezzo o se viene scaricato sulle tasse dei cittadini francesi.

Mercoledì 4 Giugno 2003, sul Sole 24 Ore è comparso un articolo: Gli alti costi affondano British Energy. Secondo il corrispondente da Londra, British Energy, il colosso del nucleare che produce quasi un quarto dell’energia elettrica britannica, nel 2002 ha registrato perdite per circa 6 miliardi di Euro e il governo ha dovuto intervenire con un prestito straordinario di 650 milioni di sterline e l’esenzione dall’oneroso pagamento per la manutenzione degli impianti. In conclusione, il contribuente britannico dovrà pagare 200 milioni di sterline all’anno per i prossimi 10 anni.

Il costo di produzione dell’energia nucleare inglese è infatti di 21,70 sterline per Megawattora (costo che corrisponde a circa 70 vecchie lire per Kilowattora) contro un prezzo di vendita di 18,30 sterline per MWh. Prezzo che grazie ai nuovi cicli combinati a gas è sceso nel 2003 ancora del 10% fino a toccare recentemente le 16 sterline per MWh.

Ma come, in Italia abbiamo lunghe code di sfaccendati che teorizzano pubblicamente che l’energia elettrica da nucleare è praticamente gratis. Mandiamoli tutti da Tony Blair a risolvere i problemi del nucleare britannico!

La verità è che nel paese di Pulcinella, dopo la scelta referendaria del 1987, sicuramente emotiva, di abbandonare il nucleare, poco o nulla è stato fatto per creare un sistema alternativo che puntasse sull’abbattimento drastico dei consumi finali, sullo svecchiamento e l’incremento dell’efficienza degli impianti termoelettrici e sullo sviluppo delle fonti rinnovabili.

Il parco termoelettrico italiano viaggia ancora al 39% di efficienza e ci vorranno ancora parecchi anni prima che venga completamente ammodernato, il risparmio energetico è rimasto nei sogni e le fonti rinnovabili di energia sono ancora considerate marginali e quindi inutili.